sabato 30 giugno 2007

Il Giocattolone



Transformes non nasconde e non tradisce la sua natura e la sua origine: Il giocattolo.

Questo film è un “giocattolone” (nel senso più positivo del termine), divertente e volutamente poco serio. La fantascienza che si sposa con la commedia, personaggi naturalmente simpatici anche se stereotipati, effetti speciali strabilianti. Il divertimento c’è ed anche molto.

Questo film in un certo modo dimostra (anche meglio di 300 e gli altri vari film-fumetto) che ormai non c’è più differenza tra film “live Action” e film d’animazione, o che perlomeno il confine si sta facendo molto più labile nel cinema Mainstream.

Inquadratura più bella: quella del padre del protagonista che si affaccia alla finestra e i vari robottoni che tentano di nascondersi dalla sua vista in pose e posti ridicoli.

Belle le scene di combattimento. Molto confuse e difficili da seguire proprio perché sono alieni che le eseguono, come se noi umani facessimo fatica ad entrare nel loro linguaggio.

Bella la soluzione della radio per parlare, però ho trovato un po’ troppo banali le voci dei robot. Sarebbe stato più bello lasciarli più silenziosi e incomprensibili!

Per chi non è ancora andato a vederlo si consoli con questo!

martedì 26 giugno 2007

Sottoboschi Artistici:Trappola



C’è un sotto bosco molto bello, l’unico problema è che per vederlo bisogna chinare lo sguardo, guardare dove di solito non lo si farebbe.

Bisogna che qualcuno faccia notare che il sotto bosco esiste e vale la pena di essere guardato se non addirittura studiato.

Io sono rimasto particolarmente colpito da “Trappola” di Alessandro Tamburini e soci miei corregionali!

Il talento c’è!

lunedì 25 giugno 2007

Vita in Loop (Space Invaders 2003)



Il videogioco è superficiale. Non pretende mai di cogliere la realtà nel suo complesso (come fa di solito il cinema) ma si accontenta di riproporne una immagine stilizzata.

Quello che vediamo sullo schermo è solo rappresentativo, alle volte fatica anche ad essere riconosciuto per quello che deve essere. E’ un rimando, un simbolo.

Quello che vediamo sullo schermo ha lo stesso spessore di un foglio di carta. Quasi inconsistente ed etereo, è solo un’ombra digitale.

Il giocatore non si chiede mai il perché delle sue azioni, gli basta sapere che le deve fare, la ragione è solo accessoria. Alle volte (ma forse quasi sempre) lui stesso per vincere (o progredire nel gioco) compie gesti meccanici a ripetizione che a lungo andare diventano quasi automatici.

L’umano per giocare con la macchina si deve tramutare in macchina egli stesso. Che forse perda la sua umanità?

Pigiare un tasto è un’azione vuota che ha conseguenze sul mondo virtuale ma non in quello reale. Quello che succede alle ombre interessa solo in parte il giocatore, che può smettere quando vuole di interessarsi a tale mondo digitale.

Mondo digitale invece, surrogato della realtà, non po’ smettere di interessarsi di se stesso. Perché oltre a lui non esiste nient’altro.

Entrare in un videogioco è come entrare in un loop.

La vita di un videogioco è una vita in Loop

Il video di intitola "Space Invaders 2003", ed è oprea del game designer e musicista Ken Ishii!

sabato 23 giugno 2007

Un Carrello in Avanti Nella Storia



Il tempo è una linea retta che sempre e solo avanti e noi non possiamo far altro che seguirlo.


Le passate civiltà, l'intera umanità non può far altro che seguirlo.


Decidere come evolversi, che strade prendere, partecipare è un meccanismo tanto affascinante quanto difficile da comprendere.

Cos'è completamente giusto e cos'è completamente sbagliato non lo sapremo mai, possiamo solo tentare di trovare dei compromessi.


Forse fare finta di evolvere una civiltà è un po' come tentare di evolvere se stessi.

Costruirsi un mondo, assicurasi un po' di felicità, forse è questo quello che si nasconde dietro al piacere di una partita a Civilization.


Forse ognuno vuole essere così importante da poter cambiare la storia a suo piacimento.


Forse dentro noi stessi c'è racchiuso il segreto dell'universo e delle stelle. Non lo sapremo mai, ma possiamo fare finta di farlo.

mercoledì 20 giugno 2007

Chi è Chibi Robo?


Lui è chibi robo. E’ la filippina elettronica di casa, possiede una sua piccola dimora anch’essa elettrica e ha un simpatico manager che si chiama telli vision (che sia parente del famoso “intelli”?).

Fa di tutto: raccoglie le cartacce, pulisce per terra, parla con i giocattoli, aiuta a cucinare, fa regali ai padroni ecc…

L’elettricità è la sua vita. Pesante fardello è la usa spina che si porta dovunque. Una sorta di cordone ombelicale che usa per nutrirsi di energia quando deve o quando può.

L’altra componente della sua vita è l’amore. Amore che gli umani suoi padroni manifestano verso di lui. Amore che il suo manager calcola pedissequamente e che poi trasforma in denaro sonante. Denaro che Chibi usa per comprarsi upgrade e attrezzi per il suo lavoro.

Meglio fa il suo lavoro più amore conquista, più amore conquista più sodi guadagna, più soldi guadagna meglio fa il suo lavoro e così via.

Chibi Robo è un portatore di positività, è la dimostrazione vivente che il sacrificio fa di noi persone (e robot) migliori.

Ulteriori approfondimenti a gioco finito!

martedì 19 giugno 2007

Il Ladro Quarantenne!


Il 6 luglio esce nelle sale il primo lungometraggio animato di Hayao Miyazaki: “Il Castello di Cagliostro”, secondo film tratto dalla serie di Lupin the III.

Lupin III, compie quarant’anni proprio in questo periodo, e per festeggiarli, Mikado ha rimasterizzato la pellicola originale del film di Myiazaki richiamando gli storici doppiatori della Serie italiana!

Lupin è ormai un’icona comune a tutte le giovani generazioni, soprattutto in qui in Italia (dove sono stati pubblicati anche alcuni Albi originali sul permesso dell’autore).

Nato nel 1967 dalla china di Monkey Punch, ispirato ai romanzi seriali di Arsène Lupin(1905), Lupin III è una sorta di James Bond casereccio, donnaiolo, sbruffone, di brutto aspetto ma di ineguagliabile fascino.

Nel 1971 nasce la serie animata (la prima, quella della giacca verde), nella quale si alternano registi che poi diventeranno molto famosi (tra questi c’è appunto Hayao).

In seguito, verranno prodotte altre due serie:

La seconda (quella della giacca rossa) la più famosa e composta da tantissimi episodi e la terza (quella della giacca fucsia) meno riuscita delle precedenti con un character design imbarazzante e un umorismo simile ad un cartoon americano classico (alcuni gag sembrano presi da Will il Coyote!).

Inizialmente, il personaggio di Monkey Punch, era molto più cinico e ambiguo di quello che conosciamo oggi giorno. Fu proprio Miyazaki con “Il Castello di Cagliostro” a trasformarlo in un ladro gentiluomo, dandogli un’aria più simpatica, meno egoista.

Il film è molto più “Miyazakiano” di quanto non sembri. Le suggestioni visive ci sono tutte, l’animazione, come sempre, presenta un buonissimo ritmo e non risente troppo degli anni.

Insomma un film di animazione di culto viene riproposto restaurato per la prima volta nelle sale italiane e come se non bastasse in estate dovrebbero uscire i cofanetti delle prime due serie del nostro amato ladro.

Io non vedo l’ora di andare al cinema per vederlo e voi?

Auguri Lupin e buona visione!

Fame di Picchiaduro


Ci siamo, è ri-iniziata!

La mia spasmodica e febbrile ricerca di picchiaduro mi colpisce ogni inizio estate!

Dopo un compulsivo acquisto del mediocre “Neo Geo Battle Coliseum” per PS2 ora tocca il alla frenesia per l’attesa dell’uscita di “King Of Figher XI” che dovrebbe avvenire per il 6 luglio.

Recupero di emulatori e roms dei picchiaduro più disparati, voglia inarrestabile di comprarmi un Arcade Stick per godere di un controller decente, , il terribile bisogno di installare il Mugen sul mio pc, il rispolverare CD di giochi come Guilty Gear X2, Street Fighter III Third Strike, Capcom Vs Snk 2, ecc…

Sono tutti pesanti sintomi di una strana dipendenza.

Non so perché ma è da piccolo che mi sento attratto da due persone che si picchiano, dai tornei di arti marziali, da dimostrazioni di abilità peculiari.

Penso che la cosa che mi affascini di più sia la moltitudine di personaggi e le loro caratteristiche uniche: stili di lotta, mosse, winning pose ecc…

Non so, forse è perché cerco di esprimere la mia identità attraverso la scelta di questi personaggi e delle loro tecniche, del loro modo di presentarsi. Forse mi spinge il bisogno che ho di dire che al mondo che esisto, di dimostrare che ci sono anche io.

mercoledì 13 giugno 2007

Il Cielo di Carta



L’altra sera tutte le pizzerie da asporto erano chiuse. Si stava facendo tardi e io e la mia compagnola eravamo in un po’ in crisi visto che volevamo anche spararci un film. Il film era, per me una sorpresa ovviamente.

Una breve e fulminea decisione ci portò alla rosticceria cinese. Tra un pollo alle mandorle e degli spaghetti di riso alle verdure lei mi mette su il film.

E’ un film che qui in questa dimenticata provincia non è mai passato al cinema. “Stranger Than Fiction” (in questo momento non posso proprio ricordare il titolo “grande” titolo italiano).

Il film è con Will Ferrell (vi picchio se non lo conoscete!) Emma Thompson e il mitico Dustin Hoffman!

Il menu del DVD si blocca su questa inquadratura. Ed è l’inquadratura più bella di tutto il film. La più significativa.

Ora ; la trama parla di questo impiegato del fisco che si trascina da casa al lavoro in una malinconica vita di routine e di solitudine, dove tutto è perfettamente scandito dal suo orologio da polso (personaggio chiave della pellicola).

Tutti inizia a cambiare quando, il personaggio (Will) inizia a sentire la stessa voce fuori campo che sentiamo noi spettatori.

Ormai siamo abituati al Metacinema (cio è ad un cinema che parla di se stesso senza nasconderci di essere finzione), ma incentrare una commedia su questo meccanismo è una mossa a mio avviso abbastanza coraggiosa.

La voce che sentiamo noi e lui non è di altri che del personaggio (non ricordo i nomi scusate) della Tomson, eccentrica scrittrice in crisi perché non sa come fare morire il prossimo personaggio del suo romanzo. Avete gia capitò come il dramma prosegue no? Will, sentendo la voce profetizzare un suo futuro decesso, farà di tutto per evitare che ciò avvenga.

Ci sarebbero tantissimi spunti interessanti in questa trama in questa idea, il film però si limita a ridurre tutto nella classica commedia americana provvista di morale lasciando un po’ da parte il possibile ruolo della funzione nella nostra società.

In ogni caso è l’inquadratura più bella che sintetizza questo concetto. La facciata, o meglio quello che noi ci illudiamo dentro noi stessi. A volte capita di illuderci di fare finta che tutto vada bene quando in realtà abbiamo grossi problemi, e enormi lacune nella nostra vita. Allora ci troviamo come Will in questa inquadratura.

Quando i capi di Will capiscono che in lui ce qualcosa che non va, lo mandano subito da uno psicologo che dentro al suo officio tiene una parete con sopra dipinto un cielo e delle nuvole. Lo psicologo logicamente dice solo banalità ed è proprio qui quanto può essere inconsistente il muro di finto cielo che ci costruiamo alle spalle per sembrare più felici, per mascherare noi stessi.

martedì 12 giugno 2007

A Prova di Cinema!


Mi dicevo, finalmente un altro film. Lo attendevo con ansia e non mi ha deluso. Dopo l’amaro in bocca che mi lasciò Kill Bill, Grindhouse: Death Proof mi ha proprio rincuorato. Come Kill Bill ma più di Kill Bill, anzi, meno contorto del film precedente in due volumi. Il film della sposa sembrava un po’ un serpente che si morde la coda nel suo parassitarsi ad altro cinema in un circolo vizioso di citazioni, ma Death Proof, pur della stessa natura, acquista un’autonomia propria o almeno così mi è sembrato.

Siamo sempre davanti al solito minestrone Tarantiniano di generi e film culto, ma il sapore e più classico e meno rivoluzionario di alcuni film precedenti, e ciò non deve per forza essere preso come un male. Se devo fare degli accostamenti, posso dire che Death Proof è un incrocio tra Jackie Brown (il più classico e il più ingiustamente sottovalutato dei film di Queintin) e Kill Bill.

Il meccanismo di suspense funziona, il ritmo, anche se un po’ dilatato (come in Jackie) e buono e, come al solito, i dialoghi Tarantiniani incollano allo schermo anche se parlano di banalità. Forse ciò è dovuto al fatto che sono intrinsecamente intelligenti e confidenziali, forse perché tutte le volte che Quentin scrive un dialogo non fa parlare i personaggi tra di loro, ma fa parlare se stesso con il pubblico (in realtà tutti i film scritti bene lo fanno ma con tarantino la cosa è molto più accentuata).

L’inquadratura più bella: Stuntman Mike(un grande Kurt Russel) che a metà film, prima della carneficina, guarda in macchina e ammica allo spettatore con un sorriso (Godard!). Sembra quasi dirci: “Ehi la! Sta per arrivare qualcosa di grosso e non vi deludero!”. E infatti…


Scena più bella: Incidente d’auto. Senza rovinare troppo la trama; la carne delle ragazze macellata e trapassata dalle lamiere falliche dello strumento maschile per eccellenza (l’automobile) non è una cosa nuova (Cronemberg?) ma Quentin la propone alla sua maniera. Frammenta il tempo (solo per questa scena) e crea un caleidoscopio di punti di vista più veloce cattivo ma allo stesso tempo divertito che nelle sue precedenti opere.

Del resto abbiamo un Thriller che si appoggia ai soliti film di serie B degli anni 70, ma anche a classici del passato. Abbiamo degli errori volontari di montaggio, abbiamo la pellicola che si rovina, abbiamo delle sequenze tagliate volutamente male ecc…

L’unico amaro in bocca che mi resta, è il fatto di non poterlo vedere accanto a Planet Terror e ai trailer farlocchi, come era previsto dal progetto originale!

E’ cinema che parla di se stesso, ma facendo così parla anche delle nostre paure e perversioni. Da andare a vedere anche (e soprattutto) se siete feticisti di culi e piedi!

mercoledì 6 giugno 2007

Cosa non c'è nel terzo uomo ragno!



Sam Raimi è un regista fantastico, anche in questo film lo dimostra tirando fuori belle sequenze d’azione è ha, come al solito, un senso del ritmo fuori dal comune, si sa attorniare da un cast molto capace, che è cresciuto in parte con lui, ma, non ostante ciò, questo film funziona di meno dei precedenti.

Come già detto da molte parti, la sceneggiatura è debole. Troppa carne al fuoco, troppi personaggi, troppo poco superficiali le caratterizzazioni di questi ultimi senza contare alcuni piccoli buchi “logici” che rendono assurdi alcuni passaggi. Alcuni evolvono (il timido New Goblin) altri ristagnano un po’ (Peter Parker ed è un male), altri sono abbozzati molto alla svelta (Venom).

Bello (sia per gli effetti che per caratterizzazione) Sandman, ma alla fine dei conti se fosse stato omesso sarebbe avrebbe dato più respiro agli altri personaggi più importanti. La lotta interiore tra bene e male di Peter Parker annaspa un pochino e si risolve con troppa facilità, tutto sempre a colpa dei tempi ristretti del film (probabilmente se fosse stato un serial televisivo questi problemi non ci sarebbero stati).

Ma la cosa che più mi è dispiaciuta è la mancanza del personaggio più bello degli scorsi film: La folla. La folla, la gente di New York, la massa di quelli che vedono Spiderman come un’icona un simbolo, quelli che alle volte lo odiano oppure lo incitano, nel terzo capitolo vengono dati per scontati. Sono loro che infondono forza ed epicità all’eroe, che lo rendono tale, che hanno bisogno di lui e allo stesso tempo non lo conoscono.

La folla era protagonista, in Spiderman 2, della più bella scena della saga; quella della metropolitana. Tutti queigli individui che sostengono il corpo esanime di dell’eroe, lo coricano per terra e lo contemplano senza la sua maschera (spogliato della sua immagine) e, come dei voyeur, commentano la sua intimità, si stupiscono di quanto possa essere simile a loro, del fatto che “è solo un ragazzo” come tanti.

Ecco in Spiderman 3 mancano scene di questo calibro (uniche in questo nuovo genere di film/fumetto) e questo un po’ dispiace. Se non altro il film è di ottima fattura, anni luce al disopra di tante porcate del genere sebbene non riesca a eguagliare i fasti dei predecessori. Un film da vedere senza troppe pretese, tanto alla fine diverte lo stesso.

Ovviamente tutto ciò è IMHO!

martedì 5 giugno 2007

L'omino bombarolo



Ormai è d’abitudine bombarola, che io e altri miei quattro amici ci incontriamo ogni domenica sera bombarola, per giocare a fare i bombaroli tra noi stessi, usando il gioco più bombarolo che esista.

La parola Bomba è di tipo onomatopeico è deriva dal latino “Bombus” (crepitio), e richiama il suono Bo, Bom che fanno le cose esplodendo con violenza. (ricordiamo nel caso anche l'espressione “tornare a bomba” come riportato sul sito etimo.it: “Espressione tolta da un giuoco di lotta, già usato in Firenze -?-, detto oggi del Pome o del Toccapompo -?!-, e che oggi vedesi in qualche modo riprodotto in quello fanciullesco detto “Birri e Ladri” nel quale i ragazzi fanno a chiapparsi e danno quel nome ad un posto determinato e privilegiato, che è l’asilo o il luogo i immunità ove torna e ripara, quand è stanco, quei che rappresenta il la parte del ladro”).

Giustamente, come dice il caro e bombarolo per eccellenza Dennis Hopper verso la fine di Speed: una bomba che non esplode non ha significato. Infatti, quando vedi una bomba sai già che deve esplodere. Quando vedi un oggetto rotondo nero con una miccia all’apice sai cosa aspettarti.

La un oggetto che incute terrore (per questo è il preferito dei terroristi), sia prima durante e dopo l’esplosione. Per questo il gioco bombarolo (tale Dyna Blaster mutato poi in Bomberman) è un gioco “di Paura”. Una delle tecniche privilegiate per avere la meglio sugli avversari (che ricordiamo, bisogna far esplodere) è proprio quella di chiuderli in mezzo a un muro e una bomba (oppure direttamente due bombe).

Quando questo succede ecco che si innesta il panico. Sai che sei finito, sai che quel cerchio nero sullo schermo (che non è una vera bomba ma la rappresentazione di quest’ultima) scoppierà inevitabilmente da li a pochi minuti. E’ terribile sapere che stai per esplodere in aria ma non poter fare nulla per evitarlo.

Fosse un Headshot di un cecchino che ti colpisce alle spalle allora avrebbe meno effetto (sorpresa, ma lascia più confusi che altro), ma invece il fatto di sapere di essere finito, crea un tremendo suspance.

Il gioco bombarolo, tutta via, rimane uno dei più divertenti da giocare in moltitudine, creando vari sollazzi, euforie e fischi. In effetti possiamo anche accostarlo al giuoco del “Toccapomo” di cui sopra, con le uniche varianti che non esiste nessun luogo sicuro e che se questo esistesse di certo non verrebbe chiamato bomba.

Successivamente riporterò qualche brillante tecnica suicida creata e collaudata in questo giuoco per avere la meglio sugli avversari.

domenica 3 giugno 2007

L'eroe dei nostri tempi



Napoleon è l’eroe dei nostri tempi. E’ un simbolo l’emblema delle paure dei buoni sentimenti che sono in ognuno di noi. Tutti i personaggi sono assurdi, alcuni sembrano odiosi(fratello e zio), ma alla fine si rivelano umani , pieni di difetti ma allo stesso tempo capaci di volere e dare affetto.

I personaggi veramente negativi sono I compagni di scuola prepotenti e le smorfiose ragazzine supponenti. Napoleon ci insegna ad andare oltre, ci fa capire che per quanto stravaganti possano essere alcuni personaggi e prodotti della nostra società, l’umano e il positivo esistono ancora. Non disfa, non è pessimista, racconta in maniera semplice lapidaria, in sketch.

In fondo la vita sta tutta li, non è così complicata come ci appare e Napoleon lo sa. Per essere felici non servono i soldi o il bell’aspetto, basta un amico da poter aiutare genuinamente, basta una partita a palla, basta ballare, basta qualche foto glamur. E’ una morale vecchia come il cucco, ma non per questo meno necessaria.

Napoleon Dynamite può sembrare un film superficiale e fiacco. In realtà è un film che mostra una superficie per spiegarne un’altra: quella della nostra realtà moderna. Narra in modo leggero e apparentemente senza senso. Sembra che non lasci il segno ma invece incide un po’ sul nostro immaginario. Dagli anni 80 dove il nerd cinematografico era parodia di se stesso oggi si è trasformato nel centro dell’attenzione. Perché nei deboli si racchiude la semplicità dei sentimenti.

Io accosterei questo film a quelli di Wes Anderson: “I Tennembaum” in primis. Entrambi sono pieni di episodi e personaggi grotteschi, ma al contempo umani, persone che sembrano pazze ma in realtà ci sono molto vicini.
E’ un modo di fare cinema che indaga una società apparentemente alla superficie ma colpisce nell’intimo.

Io mi sono rivisto molto in Napoleon, forse perché sono (e sono stato) un nerd. Di sicuro chiunque si è sentito un attimo emarginato o solo a scuola, sa cosa sono quei versi che emette quando è stressato!

sabato 2 giugno 2007

Tabula rasa

…Tabula rasa, re - inizio da zero.
Senza briglia e senza freno per chi ha la voglia di sopportarmi. Inizia la mia Season two di internet. Non badiamo a spese per la prossima reincarnazione. Siamo qui siamo tanti e ognuno si fa carne e oggetto con le parole. Diventiamo parole suoni e immagini, apriamo le nostre vite come dei libri animati. Una promessa di aggiornare più presto possibile. Ora che sono qui mi sento più libero di viaggiare e lasciare le mie parole libere da ogni costrizione. Posso dire e fare, costruirmi e disfarmi. Dai su! Questa volta seguo meno regole e bado di meno all’immagine di me stesso su gli altri…

Il mio precedente Blog

La Loggia di NEO-GEO.

So long, So Clear.

Ripartiamo da zero.